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IVANA DAMA: Intervista all’attivista italiana che, insieme al marito Yacoub, parla della lotta pacifica per l’abolizione della schiavitù moderna in Mauritania

Contro la schiavitù… senza frontiere!

Oggi vogliamo raccontare una realtà dell’Africa non sempre seguita dai media nazionali e internazionali. Un angolo della Terra che vive uno dei drammi più atroci che il mondo abbia mai conosciuto, un orrore che molti credono debellato per sempre ma che in Mauritania, piccolo paese dell’Africa nord-occidentale, è ancora presente e fortemente radicato nella società: stiamo parlando della schiavitù e della suddivisione in caste della popolazione locale.

altSecondo il Rapporto Global Slavery Index della Walk Free Foundation, la Mauritania è il paese con il più alto tasso di schiavitù al mondo. Sono ben 160 mila le persone, il 20% della popolazione, a cui vengono sottratte le più basilari forme di libertà personale. A questo folto esercito di schiavi del nuovo millennio va aggiunto un altro 60% composto dagli haratin, gli affrancati, persone che vivono in ogni caso da schiavi perché sottomessi dai propri datori di lavoro.

Sembrano storie di altri tempi, eppure sono drammi che si consumano oggi nel nostro Mediterraneo, a poca distanza dai confini di Marocco, Algeria, Mali e Senegal. La schiavitù, che pur essendo stata abolita nel 1981 e penalizzata nel 2007, viene di fatto ancora praticata ai danni del Popolo Haratin.

In prima linea nella lotta all’abolizione de facto della schiavitù ci sono due attivisti e cooperanti internazionali, Ivana Dama, 36 anni di Napoli, da anni volontaria ed esperta di mediazione culturale, e Yacoub Diarra, attivista mauritano per i diritti umani, anch’egli impegnato sul fronte dell’abolizionismo.

I due si sono conosciuti durante uno dei tanti viaggi di lei in Mauritania nell’ambito del lavoro nella promozione dei diritti umani nel paese. Da questa collaborazione è nato anche l’amore.

Ivana e Yacoub si sono sposati il 3 novembre del 2013 a Nouakchott. Oggi sono una splendida coppia multietnica che abbiamo intervistato per conoscere più da vicino il dramma della schiavitù e i problemi che vive la comunità mauritana nel nostro paese.

Ciao Ivana e Ciao Yacoub, la vostra storia è molto intensa e commovente. Vi siete conosciuti in Mauritania, in uno dei tanti incontri di cooperazione e impegno contro la schiavitù. Potete raccontarci, in breve, quali sono le condizioni di vita degli abitanti locali e, soprattutto, come si esercita sulla popolazione questa moderna forma di prigionia sociale?

Ciao e grazie a te a nome della maggioranza della popolazione nera della RIM (Repubblica Islamica di Mauritania) per la possibilità di poter aprire una finestra su un paese in cui vige, nel totale silenzio della Comunità Internazionale e con l’assenso del Governo Mauritano, un vero e proprio Apartheid di una minoranza etnica (gli arabo-berberi o mori) su una stragrande maggioranza nera vessata e schiavizzata alla nascita per il colore della propria pelle. Tra le tante etnie nero-africane, quella più numerosa e schiavizzata è l’etnia Haratine, gli schiavi affrancati, di cui fa parte il nostro amico e Leader Biram Abeid, presidente dell’IRA Mauritania, Movimento non violento che lotta senza sosta per l’abolizione del fenomeno disumano e degradante della schiavitù, che riguarda la maggioranza dei cittadini del paese.

Ivana, come è nato il tuo impegno per l’Africa e, in particolare, per la Mauritania?

Mi sono recata per la prima volta in Africa nel 2005, in Burundi, nel cuore del Continente nero. Ci sono stata al termine di un bellissimo corso di formazione voluto e organizzato dalla Regione Campania. Al termine di questo percorso, noi giovani studenti in materie umanistiche dovevamo svolgere uno stage in un paese del cosiddetto Terzo Mondo. La mia prima Africa la ricordo perché mi ha dato poi la possibilità di capire cosa volevo fare davvero della mia vita e dove volevo andare, oltre al perché. All’epoca del mio stage in Burundi, il paese delle mille colline, teatro di uno dei più noti genocidi mai consumati sulla Terra, quello tra gli Hutu e i Tutsi, la migrazione nel nostro paese dall’Africa nera non era ancora cosi evidente ma nella provincia Napoletana, dove vivevo in quegli anni, il fenomeno cominciava a imporsi alla cronaca locale.

Volevo capire perché quelle persone affrontavano viaggi così pericolosi per accontentarsi di un posto all’ombra ed essere considerati cittadini di serie B. Il Burundi fu la mia palestra nel Continente nero e sperimentai cosa vuol dire AGIRE per contribuire al lavoro di PACE con e per gli « altri ». Ebbi la possibilità di osservare i giovani burundesi che faticosamente e a testa alta, senza mezzi, stavano facendo il proprio dovere per ricostruire la pace nel proprio paese dilaniato da un dramma assurdo come quello del genocidio del ‘94. Fu osservando gli operatori di pace del Centro Kamengue di Bujumbura, la capitale del paese, che capì che quella sarebbe stata la mia professione. Sapevo che quella sarebbe stata la prima pagina della mia storia in Africa. Tornai nel 2008 per altri progetti e, poi, nel 2009 ci fu l’incontro in Italia con l’attivista e amico della libertà, il mauritano Biram dah Abeid. Gli organizzatori sapevano delle mie due precedenti Missioni di Pace in Africa sub-sahariana e pensarono d’invitarmi come interprete per l’intervento di Biram, in Europa per la prima volta.

Biram Abeid, leader del Movimento Pacifico Abolizionista della schiavitù per nascita, è stato di recente premiato alle Nazioni Unite per il costante impegno nel contrasto alle disuguaglianze nel suo paese. Puoi raccontarci del suo lavoro e dei risultati raggiunti?

Biram è un uomo di pace ed è un grande attivista che dedica la sua vita alla libertà in Mauritania. E’ figlio di un’ex schiava, una donna di etnia Haratin. Per pura fortuna è nato libero e ha deciso di lottare pacificamente ma a tutti i costi per la verità, la giustizia e la libertà dei neri africani nel suo paese natio. Quando lo incontrai nel 2009, Biram era al suo primo viaggio extra continentale; Napoli è stata la sua prima meta per denunciare un Apartheid mai rivelato e taciuto per preservare gli enormi privilegi della casta dominante razzista, xenofoba in RIM ma anche di chi sa e tace per trarre vantaggi indiretti.

In questi anni, Biram ha tessuto contatti con il mondo libero più attivo, con associazioni, partiti politici e singoli cittadini disposti a conoscere la verità e attivarsi come possibile. Quando arrivò non aveva neanche 1 centesimo in tasca, solo la sua enorme grinta e l’immensa voglia di comunicare al mondo libero che in Mauritania, e non solo in quel paese africano, c’è una minoranza dalla pelle più chiara che schiavizza, vende, presta, viola e regala schiavi ancora oggi negli anni 2000, a cinque ore di aereo da noi.

Biram ha vinto tre premi Internazionali e il prossimo 21 giugno correrà all’elezioni Presidenziali in Mauritania. Non l’ha scelto lui, l’abbiamo voluto noi difensori dei diritti e della libertà. Oggi sei socia e fondatrice della Sezione Italiana dell’IRA Mauritania. Di cosa si occupa la sezione e quali obiettivi intende raggiungere?

L’IRA Mauritania è nata lì ma ha aperto diverse Sezioni in Occidente e negli Stati Uniti d’America. Oggi l’Ufficio Italiano di IRA Mauritania, da me creato insieme ad altri concittadini attivi nel Terzo Settore e attivisti dei diritti umani, ha un Presidente Mauritano pur non essendoci tanti mauritani in Italia; io ne sono Vice Presidente. Il Bureau fa innanzitutto opera di sensibilizzazione, estremamente necessaria dal momento che in Europa, e soprattutto in Italia, s’ignora completamente il fatto che oggi si possa nascere ancora schiavi. Non siamo tanti ma abbiamo molto coraggio e riusciamo nel nostro intento di denuncia di un fenomeno orribile come quello che l’IRA Mauritania di Biram combatte nel mondo. Puntiamo a « scomparire » quanto prima, nel senso che speriamo che a breve non ci sia più bisogno di chi, qui o altrove, lavori per l’abolizione della schiavitù. Intanto continuiamo a seguire le azioni di pace e libertà che i tanti ragazzi e ragazze, uomini e donne, bambini e anche persone avanti con l’età, portano avanti rischiando ogni giorno la propria vita.

Yacoub, come attivista per i diritti umani in Mauritania, hai fondato il Comitato Pace dell’IRA. Puoi parlarci del tuo impegno tra Italia ed Africa?

Prima di Biram e dell’IRA in Mauritania nessuno aveva osato parlare di diritti umani violati né tantomeno di lotta alla schiavitù. Prima di Biram, ai neri di Mauritania, maggioranza schiacciante, non era permesso praticamente nulla che avesse a che fare con la democrazia. Non era dato nemmeno sapere cosa fossero i diritti umani e come fare per farli rispettare. Noi giovani sognavamo che qualcuno potesse guidarci verso un modo pacifico, alla scoperta della libertà.

La Mauritania aveva e ha bisogno di Biram Abeid e di questo movimento di pace che da speranza non solo alle vittime della schiavitù per discendenza matriarcale (e le donne da noi fanno ancora molti figli), ma anche ai tanti giusti che cercano giustizia senza fare la guerra.

L’unione fa la forza! Noi attivisti dell’IRA Mauritania stiamo dimostrando proprio questo senza mezzi materiali, senza alcun finanziamento ma solo con la voglia di agire per il nostro bene comune perché la libertà è davvero tale se sono tutt* a disporne. Ecco cos’è il nostro Movimento, ecco come ha funzionato il Comitato di pace dell’IRA che ho creato con altri giovani amici attivisti con me sin dall’inizio. Ora sono in Italia ma continuo a lavorare per la Libertà seppur con metodologie diverse che sperimento da tre mesi. Assieme alla mia compagna d’azione oltre che moglie, Ivana Dama, ho diversi progetti per continuare a lottare nel nome dell’amore che ci ha fatto incontrare in Africa e che ci tiene uniti sempre.

Da molti siete considerati una coppia famosa. Siti arabi parlano della vostra unione come “Primo matrimonio tra due attivisti dei diritti umani in Mauritania”. Come vi fa sentire quest’attenzione e quanto il vostro esempio può aiutare la Mauritania a venir fuori da questo stato di disuguaglianza sociale?

Noi non siamo in cerca di notorietà ma siamo disposti a raccontare la nostra storia per un fine ben definito: la denuncia della schiavitù che avviene in Mauritania. Terra da noi battezzata come il paese della Moderna schiavitù, dove se nasci nero sei destinato ad avere un padrone per tutta la tua esistenza e che avrà diritto di vita o di morte su di te e sui figli delle donne nere Haratine. L’amore vince su tutto e se il nostro può contribuire alla fine di questo fenomeno disumano e degradante allora, ben venga la « notorietà » in Africa come d’ovunque.

Molti giovani mauritani sono stanchi delle ingiustizie. A che punto è la mobilitazione locale e cosa si prevede per il futuro? I giovani, e non solo loro, sono esausti di subire e sono stanchi del silenzio. Hanno voglia di attivarsi e lo stanno facendo con immane coraggio e determinazione; la stessa che ha permesso a Biram, a me e ad alcuni fratelli attivisti di IRA, di resistere alla tortura e alla prigionia del 2012, quando fummo arrestati arbitrariamente dal governo per 5 mesi perché attivisti della libertà. Non ci fermeremo, e al di là della vittoria di Biram alle elezioni presidenziali per una vera nuova Mauritania di pace e libertà, continueremo affinché il movimento sia riconosciuto e cresca nel mondo intero portando luce, speranza e diritti non solo in Africa ma ovunque ce ne sia il bisogno. Grazie per questo scambio e Viva la libertà e il coraggio dell’azione!

Questo apartheid del nuovo millennio ha favorito l’immigrazione di molti giovani verso l’Italia?

Nell’Africa nera, quella che io conosco e che ho vissuto, le violazioni dei diritti fondamentali ci sono state da sempre e il « mito » dell’occidente lì risale al boom dei mezzi di comunicazione. Oggi con internet anche i giovani dell’Africa sono disposti a rischiare la vita per un sogno che però s’infrange quasi sempre una volta arrivati in occidente. In verità, noi di IRA Mauritania cerchiamo di rendere coscienti i ragazzi. Cerchiamo di comunicargli la verità e puntiamo sul loro impegno nel paese in favore della lotta all’abolizione della schiavitù. In Italia, in particolare, la diaspora mauritana non è molto presente ma lo è nei paesi francofoni, soprattutto in Francia, Belgio e Svizzera francese. Oltre oceano, invece, molti mauritani si concentrano negli USA e in Canada.

La comunità mauritana presente in Italia è ben integrata? Nel nord abbastanza; lavorano nel settore della manifattura, lì dove resiste o come operai in fabbrica. Ma con la crisi economica anche lì si stenta ad avere una situazione tranquilla. Come Presidente di IRA Italia, a breve sarò tra loro per cercare di capire alcuni dettagli che riguardano le rispettive condizioni di migranti nel nostro paese; li informerò personalmente dei nostri progetti e della candidatura di Biram Abeid.

Tutti i riferimenti per approfondire le attività dell’’IRA ITALIA

li troverete alla pagina Facebook della sezione:

IRA Mauritania – Sezione Italia, al numero 0039 – 3475083489

oppure all’indirizzo e-mail, ivana.dama@tin.it

Valentina Cavaliere

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